Share the post "Mick Odelli, la rotta del cambiamento: storie di mente e di mare"
Oggi abbiamo il piacere di fare una chiaccherata con Mick Odelli (@mickodelli): un vero spirito libero sempre alla ricerca di nuove domande e nuovi orizzonti. Dopo aver cambiato più ruoli che scarpe – imprenditore, cantante, trader, divulgatore – ora si è reinventato come velista-esploratore, vivendo su Katija, la sua barca-casa, in un’avventura che sembra non avere fine.
Mick ha una missione: smuovere le persone! Lo fa con il suo canale YouTube (seguito da oltre 160.000 fan) e con i suoi progetti come “Fallo!” e “Focus,” puntando ad aiutare gli altri a conoscersi meglio e a vivere il presente con tutto sé stessi. Tra neuroscienze e filosofia, il suo obiettivo è ispirare le persone a essere un po’ meno “cervello” e un po’ più azione.
Chi è Mick Odelli? Oggi, come ti definiresti?
Mi piace quell’“oggi” nella domanda. Cambio tutto molto spesso. L’unico modo di definirmi è fotografarmi nel presente. Attenzione, potrebbe sembrare un flexing, ma me l’avete chiesto voi!
“Oggi” sono un divulgatore che tratta temi legati alla psiche e neuroscienze, alle relazioni con noi stessi, gli altri e il contesto, alla filosofia di vita. Lo faccio online nel mio canale YouTube “Just Mick,” e offline con il mio libro Sfacciati e con altre iniziative varie. Il tutto con un approccio scientifico e pratico sulla quotidianità.
Dico “pratico” nel senso che porto letteralmente sconosciuti a bordo della mia casa-barca per 7 giorni a solcare mari e menti. La stessa cosa la faccio nel cuore dei boschi sloveni, dove porto 40 persone ad allontanarsi dai social per 7 giorni ed avvicinarsi a sé stessi.
Per il resto credo di essere semplicemente un esploratore incallito. La vita mi sorprende e mi stupisce. Ho un particolare legame con il mare, e Katija, la mia barca, è il mio ambiente protetto che il mare culla per ricordarmi sempre che va tutto bene. Anche quando non va tutto bene.
Qual è stato il momento o l’ispirazione che ti ha fatto decidere di vivere a bordo di Katija?
Devo ancora capire se sia più una rivolta verso la società o un qualcosa di diverso. Ricordo un meme che girava tempo fa di un tizio seduto su un parco a contemplare. E dal nulla, dopo tre vignette uguali, compariva un tizio dalle siepi chiedendogli 50€.
Senza voler fare il classico lamentone sulla condizione della società, ho semplicemente riconosciuto che il nostro sistema ci porta lentamente a trovarci incastrati in dinamiche che ci costringono a fare gli ingranaggi.
Si perde piano piano la sensazione di completezza come individui e si finisce per essere in qualche modo un tutt’uno con un contesto che non rispecchia proprio a pieno i propri valori.
Da anni avevo la sensazione che vivere in barca costringesse a rallentare tutto questo e a ritrovare in qualche modo la bussola.
Così è stato.
In che modo il mare riflette o sostiene i tuoi valori personali e professionali?
Il mare ti costringe al presente. Quando navighi, sei sempre in qualche modo vigile. C’è meno tempo per rimuginare con la mente. Allo stesso modo il contesto ti offre dei paesaggi dove ci si perde completamente nel mind wandering, nel vagare con la mente.
Questo continuo altalenarsi tra lo stare nel qui ed ora e il vagare con leggerezza rispecchia uno dei modi per trovare equilibrio nella vita.
E poi, c’è da dire, nel mio lavoro è un’ottima scusa. Quando gli altri tenderebbero a portarti nuovamente ad avere i loro ritmi, la risposta da dar loro è: “eh ma ci metto 4 ore a tornare a terra” o “oggi non posso, c’è mare”.
Posso dire, nella mia esperienza di vita vissuta, di aver fatto il giro tondo. Sono stato un imprenditore con una ventina di dipendenti e ritmi serrati con livelli di stress piuttosto alti. Poi ho mollato tutto – grazie anche alla mia attività di divulgatore – e ho assaporato una vita dove i valori non sono più economici, ma di valore del tempo.
Come descriveresti la tua giornata tipo a bordo di Katija?
Come descrivere quel momento in cui ti svegli, esci in pozzetto e hai mare ovunque? Quel primo caffè sensoriale? Quel portale tra Katija e il mondo là fuori? Quei viaggi con il dinghy – il gommoncino – come unico mezzo per tornare alla civiltà?
Ho vissuto qualche mese letteralmente all’ancora, con la mia gattina. E sotto questo punto di vista è stato magico. È un po’ come vivere da soli in una piccola isola. È strano, difficile, bello, complicato, leggero, offre solitudine, pace. Cose belle e cose meno belle. Come qualunque stile di vita, presumo.
Una cosa che ricordo nitidamente di quei mesi erano le riunioni in videocall. Una in particolare, con il TEDx di Parma che mi invitava come speaker. Ero al largo (lavorando al laptop prendevo spesso il largo a caso durante il giorno). Avevo le canne da pesca in acqua per la cena. Quando ho iniziato la call – con lo stupore degli interlocutori dall’altra parte per il bellissimo tramonto dietro di me – ho spiegato che “se di colpo sparisco dallo schermo è perché ha abboccato qualcosa e devo mangiare.” Per loro era magico. Per me era quotidianità, ma con il senno di poi riconosco ora che non fosse una cosa comune.
Passavo la giornata a lavorare sui miei video e progetti. Pranzo in barca. Poi, bici pieghevole sul dinghy e giretto a terra tra spesa ed esche per la pesca. E “casa” per cena.
A volte invece, con buon vento, puntavo al mare aperto e giravo a caso mentre lavoravo, così da poter pescare e produrre acqua (ho un dissalatore: Katija produce energia e acqua in modo autonomo). Tornavo con il buio, ancora, film o libro, e poi a letto, cullato nella placenta artificiale. Perché chi ha vissuto in barca sa quanto il suono dell’acqua, unito al cullare e allo spazio ristretto, simuli in modo incredibile quando eravamo nella placenta della mamma.
Ci sono stati degli imprevisti o difficoltà tecniche, logistiche o anche emotive che non avevi previsto all’inizio? Come le hai superate?
Certamente, ma non sono state le stesse difficoltà di cui altri navigatori mi avevano messo in guardia. “Sarà umido!” Sì, un po’ sì, ma è gestibile. “I migliori momenti sono quelli in cui acquisti e vendi la barca.” Certo, capisco chi la compra per una settimana di vacanza a Ferragosto e poi deve risolvere problemi tutto l’anno. Ma se ci vivi, è come un giardino: le riparazioni diventano momenti di relax e mindfulness. Impari tantissimo.
I problemi veri sono altri. Prima di tutto, quelli mentali. La relazione con gli altri cambia, bisogna riorganizzarsi e saper stare bene con sé stessi – o imparare a farlo in fretta. Jean-Paul Sartre diceva: “se sei triste quando sei solo, probabilmente sei in cattiva compagnia.” Non è così semplice, ma rende l’idea.
Anche i punti di riferimento sono cambiati, almeno per me. Quando guardi chi vive a bordo, vedi quasi sempre famiglie (anche numerose, con figli e cani) o coppie innamorate (fino a prova contraria). Persone che affrontano la barca da sole? Spesso trovi il tipo anziano con la barba lunga e bianca, che attraversa l’Atlantico mangiando scatolette di tonno. Non ci sono vie di mezzo. Ho immaginato tante volte un mondo ideale, dove arrivi in un paesino di mare, ormeggi, e trovi altri giovani (o diversamente giovani), da soli come te, pronti a scambiare storie e avventure incredibili.
Eh niente… quando arrivi in una marina, trovi quasi solo pensionati. Senza nulla togliere ai pensionati, ovviamente, ma sarebbe bello trovare anche persone della mia età. Incredibilmente, internet aiuta. Ti connette con altri come te. Per questo non credo negli stereotipi del “off the grid.” Va bene staccare e rallentare, ma internet può essere un bellissimo posto, se sai come usarlo. Vivere in barca a vela non significa necessariamente staccarsi dalla tecnologia, anzi.
E non significa necessariamente libertà. Ricordiamoci che se da un lato le vele sono simbolo di leggerezza e spensieratezza, dall’altro lato la barca può diventare la peggiore gabbia che tu abbia mai sperimentato. Basta trovarsi in mezzo al mare con vento forte e mare agitato. Se non ti piace quella condizione, non puoi scendere: sei in una lavatrice di 15 metri quadri.
Quali sono gli oggetti o le attrezzature a cui non potresti mai rinunciare vivendo in barca?
Non in ordine di importanza: la macchina del caffè, il dissalatore, che cambia tutto. Il radar è utilissimo se si naviga da soli. Uno strumento musicale se si sa suonare. O anche se non si sa suonare.
Quali luoghi hanno lasciato un’impressione duratura su di te e perché?
Se ve lo dicessi, poi dovrei uccidervi. Ci sono alcuni ambienti dove navigo spesso anche con le crew di sconosciuti che salgono a bordo per una settimana, che ti segnano. Qualche marinaio può capire che intendo se parlo di “paesaggi lunari”. Quando vedi terra ed è spoglia come il mare, e ti immagini di essere in un altro pianeta. Ma al di là dei paesaggi, su cui si potrebbe scrivere un libro, ho un legame forte con Cres (Cherso, Croazia).
Però non andateci tutti ora. È un luogo che ha una strana vibe, non so spiegare. Se si arriva dal mare, ti accoglie con la sua insenatura incredibile. E spesso mi ha accolto per proteggermi dalle tempeste. La gente ha un ritmo unico lì (e da lì il detto “No stress in Cres”). In quell’isola oggi ho amici, sto bene anche da solo. E proprio lì è nata la mia idea del mio canale YouTube e tanti altri progetti. Boh, mi sento equilibrato in quel posto.
Qual è il mito più comune sulla vita in mare che ti piacerebbe sfatare?
Più che un mito, è una frase celebre di Seneca: “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.” Sono molto contrario. (Seneca, se mi leggi dall’aldilà, parliamone). È una frase sulla bocca di tutti, ma è diventata promotrice di un atteggiamento che considero dannoso. Preferisco dire l’opposto: “esiste sempre vento a favore del marinaio che non sa dove andare.”
Il concetto dietro è semplice. Ci è stato insegnato a sapere chi vogliamo essere nella vita, avere le idee chiare, scoprire il nostro posto nel mondo. La pressione sociale è oggi così forte che finiamo tutti per fingere di sapere cosa stiamo facendo. Ma in realtà, nessuno capisce nulla davvero. E quando ci prendiamo del tempo per ridefinirci, per fare brainstorming, per sondare nuovi terreni o semplicemente cercare lucidità, emerge quella sensazione di “non ho le idee chiare, sono un po’ perso.”
Eppure, perdersi è il modo migliore per scoprirsi. Perdersi significa uscire da ciò che conosciamo per esplorare ciò che è ignoto. Solo così cresciamo, solo così evolviamo. Einstein diceva: “non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato.” Che si tratti di risolvere problemi o di capire cosa fare nella vita, è fondamentale esplorare e stimolare la nostra mente. Il vento è sempre a favore quando non ci serve una direzione precisa, perché sarà lui a trascinarci. Vogliamo sempre avere il controllo su tutto, dimenticando che la vita è fatta principalmente di casualità. Solo chi sa cavalcare il presente può cogliere le variabili giuste per crescere o trasformarsi.
So che questo concetto può spiazzare qualcuno. Ho dedicato un intero libro a questo tema, supportato da teorie scientifiche: si chiama “Sfacciati” e riguarda la teoria delle identità flessibili. È un insieme di strumenti per vivere la vita con maggiore nitidezza e, paradossalmente, con più leggerezza, senza mai essere banali. Per chi è interessato, il libro è disponibile ovunque.
Quali suggerimenti pratici e personali daresti a chi sogna di seguire le tue orme?
Non fatelo, ahah! O meglio, fate tutto quello che vi passa per la testa. La vita è troppo corta per perdere tempo a considerare tutte le variabili. “Ho avuto molte preoccupazioni nella mia vita, la maggior parte delle quali non sono mai accadute,” diceva Mark Twain, e sottoscrivo.
Quindi, paradossalmente, il mio consiglio è di essere un po’ testardi. Non lasciate che siano gli altri a dirvi come stanno le cose o cosa troverete. Ognuno di noi vive il mondo con una chiave di lettura unica. Il mio suggerimento è di scoprirvi, conoscervi. Solo voi sapete davvero come reagite alle cose, agli eventi, alle difficoltà. E se non siete sicuri di saperlo, ecco un motivo in più per esplorare e sperimentare.
Gli altri ci consigliano sempre in base alla loro prospettiva, che può essere diversa o addirittura opposta alla nostra. Ma ricordiamoci che il cambiamento è sano: rimanere gli stessi di ieri è potenzialmente più pericoloso che cambiare.
Se posso darvi uno spunto, direi di avere un piano B. Magari è poco romantico, fa meno “storytelling”, ma può fare la differenza. È un consiglio prezioso che ho ricevuto da un amico marinaio: quando ti trovi incastrato in quei pochi metri quadri galleggianti e senti che stai per scoppiare, sapere di avere un appoggio a terra può fare la differenza. Anche se non lo userai mai, solo sapere che c’è può essere un’ancora di salvezza.
Pensi che il mare, e soprattutto Katija, continueranno ad essere la tua casa anche in futuro?
Lo è stata a tempo pieno, ma, mentre scrivo, sono a terra (lo so, così rovino un po’ il “filo narrativo”—e lo faccio apposta. Meglio evitare le idealizzazioni!). Ho scoperto che il modo migliore per vivere Katija a lungo è non pretendere che sia la mia unica casa, in cui restare 24 ore su 24. Non ha senso. Questo non mi rende un “mezzo marinaio,” né mi impedisce di dire che sono un uomo di mare. Nei miei viaggi faccio 5000 miglia all’anno. Vivo il mare e vivo Katija, con cui ho un legame profondo.
Ma, come in tutti gli amori, li apprezzi di più se non li dai per scontati.
E… se non stai insieme ogni singolo giorno, 24 ore su 24. 🙂